Mi ero detto che avrei scritto qualcosa postumo “a bocce ferme”, a “freddo”.
Dopo più di 30 giorni però la temperatura per me non si è ancora abbassata anche se posso capire che un’avventura del genere per tanti invece finisce al suo naturale termine. In questo era il 18 luglio, giorno in cui insieme a qualche decina di persona abbiamo percorso l’ultimo XTERRA Italy Lake Scanno. L’ultimo del 30 for 30 si intende. O no?
In realtà la temperatura comincia a calare quando cominci a pensare a ciò che verrà dopo, che immancabilmente ti porta a spostare l’attenzione e la preparazione verso nuovi obiettivi, quelli che insieme al team stiamo progettando. Ciò che verrà, però sarà pasto per un altra storia. In ordine cronologico però il prossimo appuntamento è proprio dietro l’angolo: XTERRA Repubblica Ceca, uno degli XTERRA più longevi al mondo e più affascinanti. Si correrà la prossima settimana e se quello in Francia a causa della difficile logistica (Bourdeaux non è molto vicino in camper e i francesi gli alberghi se li fanno pagare), Prachatice sarà un viaggio condiviso con amici, proprio sul mezzo che in assoluto preferisco di più: il camper.
Torniamo però al 30 for 30 perché quello che è successo a Scanno è stato davvero sorprendente, sotto tantissimi punti di vista. Non starò qui a commentare la mia prestazione, né minimamente a “sbrodolarmi” di lodi per aver portato a termine quella che in tanti definiscono un’impresa ma che io ho sempre vissuto come un bellissimo viaggio, faticoso, estremo, ma un viaggio.
Il tutto inizia più o meno un anno fa di ritorno da una delle numerose trasferte sportive, sempre a bordo di Piripicchio (abituatevi, è il nome del mio camper), insieme alla family; Sofia navigatore, Viola cantante, osservatrice dalla cellula posteriore a bordo del suo fido seggiolino sul quale avrà percorso più chilometri di Colombo per cercar le Americhe.
La verità è che non so bene da dove e perché sia arrivata in mente l’idea del 30 for 30. Da quel momento in poi, che io volessi o no, sarebbe diventata un’ossessione. Ossessione può essere un termine negativo in alcune accezioni. Non lo era per il 30 for 30. La definisco ossessione perché da quel momento in poi ogni momento era buono per inserire un tassello per la riuscita e la realizzazione di quello che sarebbe stata la mia più grande sfida, la sfida della mia vita.
Passano mesi, duri, di allenamento ed organizzazione. Alcune cose vanno al loro posto, altre si rompono, altre vanno ricollocate, altre...insomma, un lavoraccio. Poi arriva il nostro grande “amico” Covid-19 che altro non è stato che una ulteriore prova di resilienza e resistenza a quello che avrei voluto realizzare. Lo passiamo quasi indenni, con il team convinto che si sarebbe potuto in qualche modo portare a termine l’avventura. Riprendere ad allenarsi outdoor è stato bello per carità. Ma il periodo di reclusione non l’ho vissuto in maniera così drammatica da dover per forza pedalare, correre o nuotare dal primo giorno possibile per un mese. Ho semplicemente ripreso a fare quello che facevo prima del lockdown e quello che avevo continuato, seppur modificandolo, durante il lockdown. La vera sfida sapete qual è stata? La disciplina. Non c’è possibilità di riuscita in “imprese” estreme senza una ferrea disciplina sui tempi e sui modi durante la preparazione e durante l’azione. Disciplina significa i consigli di un coach, quelli di un team di nutrizionisti, quelli delle persone che hai deciso saranno di supporto all’avventura. La disciplina la devi a loro come a te. Quanto deve essere forte? Credo sia forte tanto quanto credi nel tuo progetto, nel tuo obiettivo finale. Alzarsi, lavorare, allenarsi, magiare (bene), stare con la famiglia….repeat. Non ti sta bene? Hai bisogno di altro? Significa che per te quello che stai preparando non è abbastanza importante da spingerti oltre i limiti mentali del rispetto di alcune fondamentali regole. Pensate che ci si possa allenare 4/5 ore, indoor o outdoor, dopo aver mangiato una carbonara oppure aver bevuto una bottiglia di vino? No, per quanto mi riguarda non si può. Se non te la senti di rinunciare ad alcuni piaceri che ritieni fondamentali non stai cambiando nulla per ottenere qualcosa di più grande. Sapete qual è la differenza? E’ che lo dovrai fare per qualcosa che verrà da lì a diversi mesi. Non si ci prepara in 1 o 2 mesi. I sacrifici vanno fatti per tanto tempo in più. La prima regola è mettersi d’accordo con se stessi. Niente disciplina? Solo rimpianto.
Passano i mesi. Il 3 giugno “riaprono” le frontiere regionali, appena in tempo per finire di organizzare le “ultime” cose. In realtà le ultime cose non sono mai finite. C’è sempre stato qualcosa da organizzare da mettere a posto durante l’avventura. Arriva però il momento della partenza ma la testa non ha ancora capito in maniera perfetta cosa sta succedendo. Se ne renderà conto all’arrivo al lago di Scanno, quando sotto il diluvio montiamo quello che riusciamo a montare e che ci ospiterà per 30 giorni. Siamo in tre. Io, Lorenzo e Alex, che non finirò mai di ringraziare per quanto fatto.
I giorni passano e ciò che mi sorprende ogni giorno di più è l’attenzione che le persone mettono nel seguire il progetto. Arrivano a Scanno, si presentano e nuotano o pedalano o corrono con me. Oppure fanno tutto. Sono arrivate fino a Scanno per dare supporto morale e fisico al sottoscritto e nei giorni questo sarà fondamentale per non cadere mai nel baratro dei pensieri negativi. Li scaccio, tutte le mattine all’alba andando al lago a respirare profondamente per 15 minuti. Guardare lo spettacolo in cui sono immerso, osservare la quiete del lago, sempre uguale e sempre diversa tutte le mattine. Qualche pescatore, un po’ di brezza, tanti suoni, di uccelli o animali che giocano a cercar da mangiare. Poi si torna al villaggio dove la vita è iniziata. Qualcuno sonnecchia ancora, qualcuno prepara il materiale per la battaglia giornaliera. Eh si, signori. La battaglia è stata di tutti ed è questa spontaneità di essere comune che avvicina tutti gli attori e li lancia nella goduria notturna. Qualcuno non arriverà alla fine. Qualcuno si fermerà o alternerà le frazioni. Qualcuno rimarrà con me per l’intera giornata. Qualcuno sarà all’arrivo, ad aspettarmi per darmi un cinque.
Poi, in men che non si dica è già il giorno dopo. Appena 1 minuto dopo riprende la preparazione per la giornata successiva. O così, oppure i tempi sarebbero talmente serrati che lo stress mangerebbe energie al recupero.
Per tanti esserci è un orgoglio. Per me vederli lo è altrettanto. Girano prof e campioni di cross triathlon dappertutto. Mi incrociano e ognuno a loro modo mi porge il proprio modo personale di aiuto. Va bene tutto. Accetto tutto. Tutto fa 30 for 30.
Non oso mai pensare che sia fatta. Mi ostino a ripetere che sarà fatta forse quando avrò scattato l’ultima foto nello squarcio di luce che si apre tra il bosco e che regala una vista “a cuore” sul lago di Scanno che è un incanto. Ecco, lì, ogni giorno arrivava il momento di dire: “Anche oggi è andata”. Non ho mai osato pensare troppo lontano. Non ho mai proiettato il pensiero e lo sguardo oltre i minuti o qualche ora successiva. Il 30 for 30 è stato secondi, minuti, ore ma mai giorni.
La disciplina, la concentrazione è sempre stata a livelli alti tanto che in qualche frangente mi ha salvato da alcune situazioni spinose. Non eravamo pronti a tutto. Non potevamo esserlo. Nessuno del team aveva esperienza in un format del genere. Nessuno del team poteva immaginare cosa sarebbe successo. E’ stata una continua e crescente scoperta di emozioni condivise, di dati, di confronti tra professionisti del mestiere che mai hanno lasciato spazio al: “Non possiamo farci nulla”. Sempre, tutti, si sono adoperati per trovare le contromosse a ciò che si parava davanti. Al sole, al caldo, al freddo, alla pioggia, al fango. All’alimentazione, all’integrazione. Ai battiti del cuore, ai consumi di “carburante”, attivo e passivo. Allo stress mentale.
Descrivere ciò che è stato nella pienezza del viaggio non sarà mai possibile. Portare su un foglio ciò che ho vissuto per 30 giorni non è umanamente fattibile. E’ come quando sei in una situazione in cui stai provando qualcosa di grandioso e scatti una foto, pensando che quella foto ti riporti alla mente le emozioni. Scopri a distanza anche di pochi giorni che la foto è la foto, è una foto e che lo stato d’animo non ha possibilità di essere rinchiuso e mantenuto dentro qualcosa che non vive del momento, di quel momento. La foto che mi porto dentro la conosco solo io. La foto che si portano dentro tutti quelli che sono passati da Scanno, la conoscono solo loro. Ognuno avrà la sua. Tutti, però, avranno la foto del 30 for 30 impressa nella loro testa.
Emanuele
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