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Immagine del redattoreEmanuele

Sila3Vette: le emozioni di una prima incredibile volta…finita male


La realtà è che la delusione per il finale, per il ritiro alla mia prima Sila3Vette, non può e non riesce a cancellare quanto vissuto in gara. Quando succedono cose come questa, si tenderebbe a focalizzare l’attenzione sul finale e cioè sul ritiro dimenticando quanto fatto di buono prima e durante l’avventura. Perciò il “finita male” ha solo un senso didascalico, insomma, per far capire che non è proprio andata benissimo. Tra ciò e quanto fatto però c’è davvero il mondo in mezzo.

Decido per un caso fortuito di coincidenze di prendere parte alla Sila3Vette. Decido ma a un certo punto, causa alcune cose che non si incastrerebbero, sto quasi per rinunciare. Ancora una volta mi raccolgo e mi chiedo perché dovrei rinunciare a una scelta fatta col cuore se alcune cose sembrano non volersi mettere in fila. Ciò che mi fa molto pensare è l’equipaggiamento. Non sono totalmente attrezzato. Dovrei spendere qualche centinaia di euro per essere “perfetto”. Capisco che è necessario essere più possibile equipaggiati, la gara richiede serietà e rispetto. Cerco di ragionare e razionalizzare le spese rendendomi conto in partenza che effettivamente anche diversi altri hanno optato per un equipaggiamento simile al mio. Poco più o poco meno.


Partenza


Mi conforta e…si parte. E’ fresco ma la temperatura salirà in fretta ma la compensazione data dalla conquista della quota la fa comunque rimanere intorno ai 5/6 gradi. Qualcuno parte subito forte, per i miei gusti si intende. Non mi faccio ingolosire e procedo come avevo pensato di nella mia testa di gestire la fatica. Conquisto il primo checkpoint insieme a due persone, Corrado e lo spagnolo Tony. Di poco ci precede un gruppo di 4 ultratrailer che viaggiano insieme. Lo faranno fino alla fine. Ci aggreghiamo grazie a un piccolo errore di percorso dei 4 e procediamo insieme. Ben presto Corrado e lo spagnolo Tony si staccano e in cinque procediamo su un territorio totalmente innevato su quella che d’estate è la Via delle Vette ora battuta ma con neve morbida e a tratti non corribile. Mi tengo sempre nelle posizioni arretrate. Ho la sensazione che nel gruppo ci sia un certo affiatamento. Del resto non sono un “vecchio” di queste avventure e non conosco praticamente nessuno nel panorama ultratrail italiano. E’ gente con una certa esperienza, che ha già corso decine di gare di lunga distanza e qualcuno alla Sila c’è già stato. Non mi intrometto nei discorsi, non vado davanti a rompere il ritmo. Non rompo le palle ecco. Mi sento un po’ ospite e un po’ terzo in comodo. Il ritmo per me è ideale, si procede senza grossi strappi, godendosi la spettacolare vista sulla Sila in una giornata coperta ma non troppo nuvolosa. Nessuno prova ad allungare, nessuno cerca di scappare. Botte Donato poi la discesa che segna il primo errore di percorso di rilievo dove in tre percorriamo qualche decina di metri di dislivello prima di dover tornare sulle nostre tracce e ricongiungerci con gli altri che ci avevano anticipato nella svolta. Poi capita che tutto quello che ho addosso comincia a “sballonzolare” un po’ troppo e mi calano letteralmente le “braghe”. So che se mi fermo potrei poi far fatica a rientrare su di loro ma è necessario e perdo un paio di minuti a rimettere l’assetto a posto.

I 4 runners con cui viaggio per 20 km circa

Il passaggio in testa


La sosta in realtà mi evita un errore di percorso simile al primo. Stavolta però su una pista abbastanza ripida e molto innevata. Accorgendomi del loro errore do uno sguardo alla strumentazione e individuo un passaggio nel bosco che esce dalla pista e si infila tra i pini. Li anticipo, certo che da lì a poco sarebbero rientrati sui miei passi e avremmo continuato insieme. La discesa mi diverte, mi sento bene, continuo a rispettare i dettami scelti insieme a Pino di Ionna di Self Coherence, Lorenzo Bergami e Sara Bencivenni i miei nutrizionisti e il coach Alessandro Martelluzzi. Ho una sveglia nello smartwatch che suona ogni 55 minuti che mi ricorda di mangiare secondo quanto pianificato. La rispetto, a volte la anticipo ma non perdo un colpo.


Secondo check point. Primo in testa. I primi interrogativi


Trotterellando arrivo per primo al check point sul lago Arvo. Un posto magico, altrettanto misterioso fatto di voglia di essere parte di un paesaggio esclusivo e abbandono. Il covid, qui, probabilmente ha amplificato un processo di “disbocamento” in stato avanzato. Riparto e mentre scendo verso il lungo lago incrocio i miei ex-compagni di ventura che continuano a procedere insieme. Proprio qui comincio a pensare al proseguo della gara e della scelta da fare. Aspetto, mi riposo un po’ e mi riaccodo a loro? Rallento, vedo se mi vengono a prendere? O continuo da solo avendo la sfacciataggine di guardare in faccia la notte da solo in un territorio totalmente sconosciuto con solo il gps a indicarmi la strada?

Niente di tutto ciò. Decido semplicemente di continuare ad andare avanti con il mio passo, senza esagerare, mangiando e bevendo quanto necessario e prendendomi i miei momenti di riposo. Attivo s’intende, mica seduto su un tronco in mezzo ad un bosco. La zona è forse la più impervia. Monte Scuro segna un passaggio abbastanza difficile sia a livello fisico che tecnico. Mi aiuto guardando le tracce dei fat biker che hanno attraversato la traccia prima di me e procedere con il gps in mano cercando di non commettere errori clamorosi. E’ ovvio però che qualche piccola divagazione sul tema ci sia ma non me ne preoccupo. Sono totalmente assorto nel territorio. Non guardo mai indietro per vedere se arrivi qualcuno. Sento i battiti e li gestisco anche senza dover guardare il cardiofrequenzimetro. Di tanto in tanto scatto qualche foto veloce, mangio bevo, cambio assetto a seconda delle condizioni. Non ho problemi, viaggio costante, senza intoppi. Dopo il lungo peregrinare in cresta inizia una lunga discesa che mi mette in difficoltà nella navigazione. Perdo diverse volte la via seguendo di volta in volta tracce sbagliate. Ho bisogno di tenere in mano i bastoncini per non scivolare e non riesco a guardare il gps. Raggiungo un accordo con me stesso dopo vari errori. Bastoncini da una parte, gps dall’altra.


Check point 50esimo km. Il vantaggio aumenta. Primi errori.


Arrivo al check point Cagno alle 17.20. Un andata e ritorno di circa 1 km sulla stessa traccia mi conferma un vantaggio almeno di 15/20 minuti. Ovviamente è una stima per me. Non ho modo di sapere dietro a quanta distanza siano. E poi, sinceramente manca talmente tanta strada che spazzo i miei pensieri e continuo ad andare avanti. E’ buio. Ci sarebbe ancora visibilità ma tra i boschi fitti della Sila, con pini giganti anche alti 50 metri fa buio presto. Comincio a visualizzare il mio mondo in un fascio di luce e commetto il primo errore. Accendo la frontale già posizionata e non faccio caso che è sulla posizione di massima luce. Da lì a due ore il primo set di batterie mi molla. Monto il secondo e mi accorgo di altri due errori, gravi. Ho solo un set di 4 batterie di scorta. Ho dimenticato la seconda luce. Sono fottuto. Non ho nessuna speranza di fare tutta la notte con un solo set di batterie anche impostando la luce a risparmio massimo. Ciò comporta pochissima visibilità in discesa dove devo rallentare l’andatura. Qualche brutto pensiero comincia ad affiorare. Cerco di scacciarlo ma torna. Mi immagino immerso nella notte buia della Sila senza luce, con solo la luce rossa posteriore conservata spenta per poter avere almeno un punto minimo di riferimento. Poi ragiono e capisco che qualche chilometro potrei farlo anche con quella del cellulare se non troppo impervio, sperando nella salvezza dell’alba.

78.5 km: l'inizio della fine...e la fine


Tutto inutile. Quando comincio a sentire l’odore del tè caldo del ristoro degli 80 chilometri, mi sveglio di soprassalto dal torpore della concentrazione. Cos’è stato? Perché ad ogni passo mi esce una lacrima? Non capisco. Così, senza preavviso? Cerco di calmarmi. Agitarmi non mi aiuta. Mi fa male un dito, il millino. Maledettamente male. Provo a medicarlo e bendarlo e ripartire. La pressione però è troppa e il dolore aumenta. MI fermo nuovamente, prendo un antidolorifico e attendo qualche minuto. L’unghia si muove e muovendosi preme nella carne. Provo ancora una volta a ripartire ma non riesco che a fare qualche passo. E’ finita. La mia fuga iniziata 50 km fa si ferma a 1 km dal ristoro degli 80 km del trenino.

Inutile dire altro. Inutile soffermarsi su ciò che sarebbe potuto essere ma non è stato. Ci sta essere deluso, ci sta crederci. Ci sta anche realizzare che cose del genere in una gara di 140 km dove la percorrenza supera le 24 ore possono accadere senza poter fare nulla. Il resto è un turbinio di emozioni, ricordi, momenti vissuti in mezzo al nulla da solo. Anche consapevolezza di poter essere in grado di fare bene in eventi del genere. Certezza di aver lavorato bene con chi ha a cuore quello che sto facendo, con i quali da lunedì si ragionerà e si ripartirà. Bisogna ripartire subito. Se non a correre, causa maledetto dito, in bicicletta. Vamos


Emanuele

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