Avevo voglia di tornare a fare una fatica bestia come quella di un XTERRA con un pettorale attaccato. Essendo ben cosciente che di fatica ne avevo fatta molta già al 30 for 30. Trattasi però di una fatica diversa, una fatica mentale, prima che fisica. Sapevo che potevo andare fino ad un certo punto e sapevo che per ciò che avevamo lavorato quest’anno non avrei avuto chissà quale velleità. Però, poi, uno se ne frega anche delle velleità e fa anche un po’ quello che gli pare no? Non è che bisogna stare lì sempre a pensare sono pronto, non sono pronto, non ho il fuorisoglia, non mi sono allenato per questo e menate del genere. XTERRA Repubblica Ceca andrebbe onorata già solo per il fatto di esistere. E’ una gara bastarda come poche altre. E’ una gara che ti mette un sacco di adrenalina e acido lattico in circolo per la sua natura...bastarda, è il termine che le si addice a perfezione. E’ una gara poco paragonabile alle altre, per la sua naturale predisposizione ad essere proprio bastarda dall’inizio, da quando metti piede in acqua. Rosso sangue. Non vedi a un centimetro. Non vedo quello davanti, non vedi quello affianco. Non vedi niente proprio. Dov’è la bastardaggine in ciò? E’ che non vedendo niente nessuno, tutti vanno avanti tirando bracciate a caso qua e là, colpendosi l’un l’altro che mi sembra una battaglia armata più che una gara. Se ne esce però anche abbastanza in fretta da sta guerra. Ma, ne inizia un’altra. E sali, poco, ma con un terreno che sembra un misto tra sabbia, erba e colla. Spingi, sei fuorisoglia da 10 minuti e sei sempre lì. Poi finalmente è discesa. Ah no, è finita. E’ salita. Ah no, è finita. E’ discesa, è salita...ecchecca***. La costanza, la regolarità. Queste sconosciute. Poi però è pianura ma tu hai il 30, fenomeno, e frulli che sembri un tritatutto impazzito. Il bello è che ti diverti come un mandrillo al sole. Ti “sgami” da solo col sorriso. Ma che ti ridi? Ridi perché il parco, nella sua bastardaggine è bello e vario. Dal fondo infimo ai sassi, ai guadi, alla terra, al fango e ancora ai guadi è un attimo. Della serie: se lo conosci non ti uccide. Però è la terza volta che partecipo ad XTERRA Czech e anche questa volta mi ha ucciso. Se qualcuno ha una ricetta per evitare il tracollo che la dica subito o taccia fino al prossimo anno. In tutti i casi, dopo la picchiata finale dentro la “dirt” del parco di Prachatice voli in zona cambio. Voli proprio, dopo due belle paraboliche artificiali e una woops prima di una curva a gomito. Di bastardaggine si muore proprio.
Cambi, ti infili le tue fide scarpe e ti dici: “Oh, vai regolare che ne hai poca e che sai che c’è poco da scherzare”. Si ciao. La prima salita di asfalto che porta verso il bosco è semplice. Passa uno. Ne passa un altro. Al terzo dici: “Ok, aumentiamo un po’”. Giusto un po’ per rimandarti dritto in acido e far partire il primo crampo alla lingua. Il saliscendi nel bosco se si può è anche peggio. Vorresti andare forte almeno in discesa ma non freni, non riesci proprio. I quadricipiti e i bicipiti femorali sono out. Così come le caviglie e le ginocchia. Poi ripeti tutto, cercando di difendere il difendibile e arrivare al traguardo. Succede anche che mentre arrivi vorresti farti fare una bella foto sotto lo striscione. Macchè, arriva quello che da merdesimo e 2, vuole arrivare merdesimo e 1 e sprinta. Allora torno indietro e mi faccio rifare la foto. Ci tengo io, che tanto, di essere arrivato merdesimo lo sapevo già. Datemi una birra. Me la sono meritata. Eccome se me la sono meritata, ingrati spacciatori di Red Bull che se proprio mi deve mettere ali me la devi dare prima della partenza mica all’arrivo. Dov’è che ci devo andare alla fine con le ali?
Emanuele
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